Conclusa la prima edizione del Festival per la Vita

Una vetrina in cui esporre le istanze per far sì che la vita possa essere tutelata nella sua integrità: dall’accompagnamento di genitori e neonati soprattutto se fragili con adeguate cure, a politiche in sostegno della famiglia, intese come leva per far fronte alla denatalità. Tra testimonianze e proposte, si è conclusa a Verona la prima edizione del Festival per la vita.

La due giorni (il 16 e 17 febbraio), tra gli appuntamenti della quarantesima Giornata nazionale per la Vita, promossa dall’Associazione ProVita Onlus e dal Comitato “Difendiamo i Nostri Figli” di Verona con il patrocinio della Regione Veneto, del Comune e della Provincia di Verona con il supporto e la collaborazione di numerose associazioni e di enti locali. Tra i presenti il vescovo di Verona, mons. Giuseppe Zenti, e don Gino Zampieri, vicario episcopale della Diocesi scaligera. 

«La legge 194 del 1978, di cui ricorre il doloroso quarantesimo anniversario, costata ad oggi sei milioni di bambini uccisi nell’utero materno, ha inaugurato una sconvolgente stagione di attacchi continui alla vita e alla famiglia», ha dichiarato Massimo Gandolfini, presidente del Comitato nazionale “Difendiamo i Nostri Figli”. Il valore inviolabile della vita umana, ha aggiunto, «viene declinato in termini di qualità e dignità che altro non sono che ideologiche scorciatoie finalizzate a legittimare ogni tipo di manipolazione». Di conseguenza, la cultura dello scarto si allarga all’orizzonte umano: «Dall’embrione imperfetto da eliminare, al malato terminale o gravemente disabile da spingere a richiedere di morire. Dalla selezione embrionale eugenetica all’eutanasia e al suicidio assistito. Pratiche barbare e incivili vengono sdoganate e proposte come scelte di libertà, di modernità, di autodeterminazione». Si parla di regolamentazione ma, ha ribadito, «l’unica regola intelligente e civile non può che essere la sua condanna piena, senza eccezioni».

Politica e sanità sono ambiti strategici per innescare nella società la scintilla dell’attenzione alla vita nascente. L’ha sottolineato il sindaco di Verona, Federico Sboarina, intervenendo al convegno: «Abbiamo deciso di mettere al centro della nostra politica amministrativa la famiglia, intesa come unione tra un uomo e una donna. Questo per affermarne la centralità e per ribadire l’importanza della vita, da considerare come dono», tanto più se teniamo conto dello Statuto del Comune di Verona, che tutela la vita dal concepimento alla morte naturale.

Le implicazioni sono poi altre, in un intreccio tra crisi dell’economia e della natalità. «Senza figli si genera un terribile effetto domino di calo della domanda compensato da una rincorsa sfrenata a moltiplicare i consumi individuali abbassando i costi di produzione e dalle conseguenti delocalizzazioni produttive», ha fatto notare il vicesindaco, Lorenzo Fontana, europarlamentare impegnato in appelli profamily. Il calo delle nascite, ha chiosato, «produce inevitabilmente un aumento incessante dell’età media, quindi dei necessari costi fissi: sanità e pensioni in primis. Al ritmo attuale, nel 2050 ci saranno più over 60 che ragazzi sotto i 16 anni, cosa mai avvenuta prima nella storia, gli anziani saranno ben 21,8 milioni, ovvero il 34,3% della popolazione». Tutto ciò è il frutto amaro dell’abbandono dei princìpi fondatori dell’Unione Europea in nome di un individualismo esasperato, che conduce al declino economico dopo aver rinnegato le sue radici cristiane.

Pure negli ospedali si gioca la battaglia in difesa della vita nascente. A dimostrarlo è stata l’esperienza di medici che hanno rinunciato a praticare l’aborto: non solo in Italia, come raccontato da Antonio Oriente, chirurgo specialista in ginecologia che è testimone del movimento prolife; ma in Paesi come Francia e Austria, rappresentati dal pediatra Xavier Dor, altra icona prolife, e dal presidente europeo dei medici cattolici, Bernard Gappmaier. 

Per combattere la cultura dello scarto e permettere alle famiglie di non perdere la speranza, sono necessarie cure adeguate. Perciò il Festival ha guardato all’esempio del Policlinico Gemelli di Roma dove, negli ultimi trentanni, l’equipe del ginecologo Giuseppe Noia si è specializzata in terapia fetale intrauterina e cure palliative prenatali. I numeri sono significativi: 8.000 interventi effettuati sul bimbo finché in utero, 1.200 pratiche di tipo palliativo, 4.600 nascite portate a termine. «Nella nostra esperienza, attuando la palliazione analgesica e clinica, le sopravvivenze sono passate dal 12 al 71%. La cura palliativa prenatale, di per sé non terapeutica, nella gravidanza si è tramutata in una terapia con 51 bambini guariti in questa maniera che adesso sono in braccio alle loro mamme», ha ricordato il primario. 

Quando non c’è possibilità, per i piccoli pazienti ritenuti incompatibili con la vita extrauterina l’alternativa è la comfort care: cure compassionevoli per dar dignità all’esistenza umana fino all’ultimo istante. Da qui la nascita dell’hospice perinatale: «Luogo medico – ha precisato – che non è solo un insieme di tecniche e proposte palliative e terapeutiche pre e post neonatali, ma una modalità relazionale dove la medicina condivisa prevede un team di specialisti che affiancano la famiglia per offrire le migliori possibilità di assistenza».

Una novità illustrata dall’assessore regionale all’istruzione, formazione e lavoro, Elena Donazzan, riguarda la legge di modifica delle norme regionali sulle attività funerarie, da lei proposta e approvata dal Consiglio regionale il 20 dicembre 2017. «Stabilisce l’obbligo per tutte le strutture sanitarie del Veneto di dare degna sepoltura ai resti dei concepiti, a seguito di aborto spontaneo o procurato, anche al di sotto delle 28 settimane di gestazione, che normalmente vengono trattati come rifiuti speciali». La nuova legge regionale si basa su un’adeguata informazione alle donne, che possono richiedere la consegna dei resti del concepito entro le 24 ore dalla revisione della cavità uterina, per provvedere a proprie spese a una degna sepoltura. «In assenza di tale richiesta, le aziende sanitarie locali sono comunque obbligate a dare degna sepoltura ai resti dei concepiti».

Baby Bonus. Pure l’impresa può agire concretamente per la vita nascente. L’imprenditore Roberto Brazzale, presidente di un’importante azienda lattiero-casearia nel Vicentino, si è chiesto cosa potesse fare con quel margine di utile su cui aveva massima libertà di scelta. Quando una dipendente gli aveva confessato quasi con vergogna di essere rimasta incinta, ha pensato che la sua azienda di 700 collaboratori poteva fare qualcosa per ripristinare l’ordine delle priorità: prima i neonati, poi gli affari. Così ha stabilito di donare l’equivalente di uno stipendio medio a tutti i suoi dipendenti che avessero messo al mondo un figlio o intrapreso un’adozione. Finora sono 35 nuovi nati che hanno ricevuto il Baby Bonus.

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