La Fondazione Zanotto conferma la crisi della medicina generale a Verona

Il rapporto sui medici di medicina generale realizzato dalla Fondazione Zanotto su iniziativa dell’Osservatorio sulle disuguaglianze, in collaborazione con Fimmg e Cooperativa Salute e Territorio, conferma le criticità che Spi Cgil Verona denuncia da molto tempo. La mancata programmazione dei servizi sul territorio, la preoccupante carenza di personale, la sostanziale assenza di organizzazione sono vulnerabilità irrisolte che impediscono al sistema delle cure primarie di rispondere con efficacia ai bisogni dei cittadini, in particolare degli anziani.  

Nel rapporto si evidenzia che il ben noto fenomeno delle “zone carenti” di medici di medicina generale (ben 164 al maggio 2022, con 11 comuni veronesi totalmente privi di ambulatorio principale), va a braccetto con il sovraccarico degli ambiti limitrofi. La carenza di medici, accentuata dal mancato ricambio di chi va in pensione, crea in molti comuni del veronese situazioni in cui il bacino di utenza per ogni medico di base è di duemila, tremila, quattromila o anche anche di seimila cittadini residenti over 15 anni. Tenendo conto che il rapporto ottimale medico-assistiti viene indicato in mille assistiti per medico, mentre la media veronese è già di un medico ogni 1.500 circa abitanti, si capisce bene che in queste condizioni il sistema non può essere in grado di assicurare un servizio di cure primarie adeguato. 

Nel veronese l’ultimo “bando” di Azienda Zero finalizzato a “reclutare” nuovi medici di base a copertura delle zone carenti, ha raccolto la disponibilità di appena 36 professionisti, e dal 19 luglio, data di assegnazione degli incarichi ai nuovi Mmg, siamo ancora in attesa di conoscere quante e quali siano le zone rimaste carenti di medici di medicina generale. 

L’altra criticità confermata dalla ricerca riguarda l’estrema arretratezza nello sviluppo di forme associative tra medici di medicina generale: il 28% dei medici di base veronesi lavora ancora singolarmente oppure è parte di una rete troppo blanda per assicurare l’approccio multidimensionale di cui ha bisogno la medicina territoriale moderna. Le medicine di gruppo, che presuppongono la condivisione completa nella gestione dei pazienti, coinvolgono ancora soltanto il 45% dei medici di base veronesi. Le medicine di gruppo integrate, che rappresentano la forma più avanzata di medicina di gruppo, coinvolgono soltanto il 15,6% dei medici e sono tutte concentrate nel Distretto 3 della Pianura. A fare le spese di questa situazione è soprattutto la popolazione più anziana perché, sottolineano i ricercatori, la medicina «di iniziativa», quella cioè che va ad intercettare le cronicità prima che si sviluppino o che si aggravino, è possibile soltanto nell’ambito delle medicine di gruppo ed è «quasi impossibile» per i medici singoli.

Tali criticità irrisolte sono destinate a giocare un ruolo pesantissimo nell’”atterraggio” del Pnrr sanitario. Non è un caso che la programmazione regionale delle nuove Case della Comunità riproduca già in partenza le carenze e gli squilibri territoriali pre-esistenti, lasciando scoperti interi quartieri e paesi (in particolare a Verona Sud i quartieri Golosine e Santa Lucia) e restando ben lontana dall’obiettivo del Pnrr di una struttura “hub” ogni 40-50 mila abitanti. 

In secondo luogo, la debolezza e l’arretratezza del sistema veronese è drammatica perché i medici di base sono chiamati dal Pnrr ad essere parte integrante del nuovo sistema della Case di Comunità. Il DM 77/2022 assegna infatti alle medicine di gruppo il ruolo di Case di Comunità “spoke”, collegate funzionalmente alla Casa di Comunità “hub”, mentre chiama i singoli Medici a prestare almeno 6 ore settimanali di servizio nelle Case di Comunità. In queste condizioni nemmeno il più volenteroso e preparato dei medici è in grado di assolvere al ruolo che il Pnrr assegna loro.

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